La Legione Romana

La storia militare di Roma repubblicana ed imperiale si identifica tradizionalmente con quella delle sue legioni. Ciò non è completamente esatto perché molti altri furono i fattori specifici che contribuirono alla sua grandezza: in pratica la potenza bellica che essa seppe esprimere si basò anche su un sapiente uso delle milizie alleate, delle forze mercenarie, di un'ingegneria di primo ordine e di una cultura guerresca saldamente mantenuta viva dall'elite politicamente dominante. Tuttavia non è sempre agevole ricostruire con esattezza la sua storia militare: è impossibile ripercorrere le varie fasi dell'evoluzione che l'organizzazione dell'esercito ha subito nel millennio della sua storia. Troppe volte, miti e tradizioni si intrecciano con essa, ricreando così una storiografia spuria che deve essere continuamente e compiutamente rivisitata e rinnovata. Comunque mai nessun altro esercito, antico o moderno, ebbe simili soldati: a volte turbolenti e scontenti, altre persino strumento dei propri capi, ma sempre formidabili combattenti e non per un tempo limitato ma per secoli. Per secoli le legioni, sempre limitate nel numero, furono mezzo per mantenere integra la supremazia romana, grazie ad un ferrea disciplina, un addestramento minuzioso e capaci comandanti.
La decadenza dell'Impero fu accelerata quando le legioni, semplicemente, cessarono di esistere come forza combattente, viceversa finché furono poste in grado di affrontare il nemico, anche se a volte sconfitte in battaglia, vinsero le guerre, sempre. Del resto si può ragionevolmente affermare che quando i soldati illirici o pannonici scomparvero dallo scenario delle battaglie, per venire sostituiti da barbari che nascondevano la loro ignoranza sotto una vernice di romanità, oppure quando la fanteria pesante legionaria dovette cedere il suo ruolo principe a turmae di cavalieri africani od orientali, allora veramente iniziava il declino definitivo, il punto di non ritorno, per la potenza militare di Roma.

 Le Origini^

La vita delle legioni inizia con Roma stessa, fin dall'epoca della sua fondazione (753 a.C. circa) il termine legio indicava quell'insieme di cittadini-soldato che prendevano le armi al richiamo del loro re (legio deriva da lego = leva). I contingenti con cui si formava la legione erano basati sulle tribù (tre nel periodo reggio: Ramnes, Tities, Luceres), ognuna delle quali forniva, 1000 fanti e 100 cavalieri, così che la legione era composta da 300 cavalieri e 3000 fanti.

La legione, comandata dal re, era congedata alla fine del conflitto, ai suoi ordini erano i tribuni militum, uno per ciascun contingente di fanteria fornito, ed i tribuni celerum per gli squadroni di cavalleria. Verosimilmente la nobiltà combatteva nelle prime linee dello schieramento, perché meglio armata ed equipaggiata. L'armamento doveva essere quello tipico dell'epoca: corazza, elmo e schinieri di cuoio, scudo di legno, rinforzato da elementi di metallo, una picca (lancia), e la spada. Lo schieramento, in battaglia, avveniva con un fronte compatto, fanti al centro e cavalleria sulle ali, con i combattenti più capaci e meglio armati nelle prime file, davanti a tutti i velites (soldati armati di lance, che scagliavano contro il nemico in avvicinamento per poi ritirarsi dietro lo schieramento).

 La riforma di Servio Tullio^

La prima vera riforma dell'ordinamento dell'esercito si ebbe con Servio Tullio (578-534 a.C.) contemporanea a quella sociale, la popolazione venne divisa in cinque classi a seconda del reddito (censo) ogni classe in centurie (maggiore il reddito maggiore il numero di centurie), per un totale di 193, ognuna delle quali doveva fornire 100 uomini validi all'esercito. Nella prima classe erano inclusi i cittadini con maggior censo, aveva quindi un numero maggiore di centurie e forniva anche i contingenti di cavalleria. Il resto della milizia era fornito dalle restanti classi. L'ordinamento della legione aveva per base la decuria e la centuria, mentre la cavalleria era divisa in turme (tre decurie). La formazione era analoga alla precedente, 3000 uomini su sei righe di profondità e 500 file di fronte, che si muoveva all'unisono contro il nemico, con davanti sempre i velites.

Legione falangitica d'epoca Serviana

Completavano l'organico alcune unità di fabri, cornicines, tubicines e di rorarii, specie di fanteria armata alla leggera. I cittadini con un reddito inferiore agli 11.000 assi erano riuniti in un'unica classe e venivano esentati dal prestare servizio militare. Un'ulteriore suddivisione fra juniores e seniores intervenne probabilmente solo più tardi, i primi formavano l'esercito di linea mentre i secondi, uomini tra i 45 ed i 60 anni, costituivano i reparti dell'esercito di riserva. Questo tipo di formazione aveva indubbi vantaggi, era un complesso monolitico difficilmente arrestabile una volta in movimento che schiacciava il nemico, ma aveva in se anche evidenti difetti, mancava di flessibilità e di manovrabilità e in seguito come formazione tattica fu abbandonata.

Nacque allora il manipolo per la necessità di avere reparti più manovrabili e capaci di agire con più elasticità. I 10 manipoli degli hastati, i più giovani, si ponevano in prima linea, quindi seguivano altri 10 manipoli di principes ed infine altrettanti manipoli di triarii, i veterani: se hastati e principes contavano 120 uomini per ogni unità, i manipoli di triarii erano formati solo da 60 combattenti ciascuno, mentre la cavalleria rimaneva divisa in decurie e turme. La fanteria leggera, i velites, non era inquadrata in unità organiche ma poteva combattere sia autonomamente in alcune fasi tattiche, che frammista ai reparti di fanteria pesante.

 

In pratica la legione manipolare era formata da:

1 centuria

=

10 manipoli
hastati

=

1200
hastati

1 centuria

=

10 manipoli
principes

=

1200
principes

1 centuria

=

10 manipoli
triarii

=

600
triarii

 

 

   

 

1200
velites

1 decuria

=

10 turmae
equites

=

300
equites

 

La forza di un'unità legionaria era di circa 4200 fanti a cui si aggiungevano 300 cavalieri. Con legioni così composte Roma conquistò praticamente tutta l'Italia.

Il loro numero usuale era di due (ciascuna agli ordini di un console), poi portate a quattro durante le guerre sannitiche. Il supremo potere militare, l'imperium militiae, era detenuto dai consoli, dai pretori e dal dittatore, quest'ultimo con un comandante in seconda, il magister equitum. In età imperiale sarà il principe ad avere il comando supremo, esercitato per mezzo di delegati, i legati Augusti, di rango e grado diverso in base all'importanza del dislocamento della legione.

Fra gli ufficiali la legione annoverava:

  • 6 tribuni militum, di cui uno di rango senatorio, detto laticlavius, dall'ampia striscia di porpora (clavus) che orlava la sua tunica, e cinque di rango equestre, detti angusticlavi. Essi in coppia comandavano la legione per due mesi, tenendo il comando un giorno o un mese per uno.
  • legati: ufficiali aggiunti, di solito nominati dal Senato in seguito alle proposte del comandante, che affiancavano ed assistevano.
  • 60 centuriones: comandanti delle centurie, nominati dai tribuni e provenienti dalle truppe, erano ufficiali subalterni (duces minores). Ogni manipolo ne contava due: il centurione che comandava la centuria di destra, centurio prior, comandava tutto il manipolo e quindi aveva ai suoi ordini il centurione della centuria di sinistra, centurio posterior. Gli hastati erano agli ordini di 10 centuriones priores e 10 centuriones posteriores, e così i principes ed i triarii. Il grado più elevato fra i centuriones priores era tenuto dal centurione del primo manipolo dei triarii, detto primus pilus.
  • 60 optiones: comandanti in seconda della centuria.
  • 30 decuriones: in ogni turma di 30 cavalieri c'erano 3 decurioni, dei quali il più anziano comandava la turma.
  • 12 praefecti alae: alti ufficiali romani, 6 per ciascuna delle due alae, in cui erano aggregati i contingenti degli alleati, inquadrati in cohortes di fanteria e in turmae di cavalleria.

 

In battaglia, i legionari si disponevano su tre linee: nella prima gli astati, armati di una lunga lancia (hasta); nella seconda i principi (che in origine formavano la prima linea: princeps = il primo); nella terza i triarii, veterani destinati a sostenere l'urto finale. Tutti erano armati di una corta spada (gladius) e di un grande scudo rettangolare (scutum). Il combattimento era aperto dai veliti, un corpo di giovani armati alla leggera con un fascio di giavellotti. Con la legione combattevano i fanti e i cavalieri degli alleati italici (socii). La cavalleria occupava le ali dello schieramento (per cui era chiamata alae).

L'esercito in marcia

Il numero dei milites di ciascuna unità poteva variare ed essere incrementato fino a giungere sui 5000-6000 uomini. Furono tuttavia le guerre puniche che videro dilatarsi il numero delle legioni arruolate. Trattandosi di una guerra che interessava praticamente tutto il bacino del Mediterraneo, è evidente che Roma dovette compiere uno sforzo bellico senza precedenti per mettere in armi fino a 26 o 27 legioni nello stesso anno.

 La riforma di Gaio Mario^

Nel I secolo a.C., il console Gaio Mario creò un esercito permanente di volontari e suddivise la legione in 10 coorti (una coorte era composta di 600 soldati, cioè formata dall'unione di 3 manipoli, uno di hastati, uno di principes, uno di triarii, portati ciascuno a 200 uomini), unità tattiche più forti dei manipoli. In sostanza fu abolito il vecchio sistema del reclutamento per censo e furono arruolati tutti i volontari in possesso della cittadinanza romana. Spariva inoltre il velite (sostituito da truppe ausiliarie), che diventava fante come gli altri, e soprattutto non vi erano più differenze di armamento fra hastati, principes e triarii, ma tutti diventavano fanti legionari.

I legionari indossavano una tunica di lana con maniche corte e lunga fino al ginocchio, sopra cui mettevano una corazza a strisce e scaglie metalliche (lorica segmentata) che proteggeva la parte superiore del corpo. In testa avevano l'elmo (galea) e ai piedi pesanti sandali di cuoio fatti di parecchi strati di suola e guarniti di borchie (caligae). La principale arma offensiva era il pilum o giavellotto. Ogni soldato ne aveva due. Era composto da una punta temperata in ferro e da un gambo in ferro non temperato inserito in un pesante manico di legno. Al contatto col bersaglio il gambo si piegava e l'arma non poteva essere riutilizzata dai nemici. Per il combattimento ravvicinato c'era il gladius, spada corta usata di punta e portata sul fianco destro. Il fianco sinistro era coperto dallo scutum rettangolare e convesso che offriva al corpo la massima protezione.

La riforma di Mario ridusse anche le salmerie (impedimento); ogni soldato portava tutto con sé, persino il materiale per accamparsi: il suo fardello pesava 30-40 chili.

La cavalleria, inoltre, non era più formata con elementi italici, ma era tratta da truppe ausiliarie. Gli italici potevano arruolarsi nell'esercito regolare, perciò le truppe ausiliarie (auxilia) erano reclutate nelle province: le coorti romane erano così affiancate da frombolieri iberici e cavalieri galli. La legione coortale di Mario si schierava su due linee di coorti, a scacchiera. Gli ausiliari reclutati nelle province militavano in corpi di 500-1000 uomini destinati a sostenere il primo urto nemico. Grazie alle loro competenze, l'esercito guadagnò in flessibilità: i Siriaci, ad esempio, erano abilissimi arcieri, i Traci magnifici cavalieri. Al congedo, gli ausiliari ottenevano la cittadinanza romana.

Giulio Cesare (59-44 a.C.) modificò in parte lo schieramento portando le coorti su tre linee, quattro in prima linea, e tre in seconda e terza linea, queste ultime utilizzate anche come riserve. La coorte era una formazione che sia numericamente che per armamento la rendeva utilizzabile anche isolatamente.

I due schieramenti a confronto

Dal I secolo a.C. le legioni venivano identificate anche con un numero d'ordine, anche se esso variava con le operazioni annuali, successive ad ogni arruolamento. Durante le guerre civili, ciascun comandante numerò autonomamente le grandi unità ai suoi ordini, mentre si iniziò ad identificarne qualcuna con un soprannome e probabilmente, per motivi di propaganda ed anche per rendere in qualche modo un certo onore alle unità legionarie che si erano distinte, furono aggiunti dei titoli onorifici.

La legione coortale rimase l'elemento predominante della forza romana anche durante il principato ed il periodo medio imperiale. Alla fine della repubblica, l'esercito era costituito da 45 legioni. Augusto (dal 27 a.C. al 14 d.C.) le ridusse a 25, ma vi affiancò i corpi alleati, che fornivano un contingente di fanteria pari a quello romano e uno, assai maggiore, di cavalleria. Esse avevano un numero e un nome che indicava per lo più il paese dove avevano compiuto notevoli fatti d'arme o dove si erano formate: per esempio la legio I italica fu formata da Nerone con reclute italiche. Il comandante della legione si chiamava legatus Augusti pro praetore. Ogni legione mandava qua e là distaccamenti (vexillationes), o come guarnigione di qualche città, al comando del praefectus castrorum, o come distaccamento, al comando del praepositus. L'espansione dell'impero fu tale che intorno al 100 d.C. l'esercito era composto in maggioranza da non italici.

 L'Impero^

In età imperiale l'esercito divenne permanente: era un esercito mercenario arruolato per la durata di 25 anni, che veniva mantenuto e stipendiato, e partecipava alla divisione del bottino di guerra. A servizio finito i soldati andavano in congedo (missino), ma volendo, potevano ancora rimanere nelle file dell'esercito (evocati Augusti).

 

vexillifer Ogni legione aveva per insegna un'aquila d'oro ad ali spiegate, portata sulla cima di una grande asta dall'aquilifer (alfiere); vi erano anche insegne particolari per ogni corpo della legione (coorte, manipolo o turma); perciò ogni legione ebbe:
  • l'aquila che simboleggiava l'intera legione;
  • 10 bandiere (vexilla) per 10 coorti;
  • 60 bandiere minori (signa) per le 60 centurie,
  • 10 simili a bandiere minori per le turmae.

 

Inoltre queste bandiere servivano a trasmettere degli ordini visivi sul campo di battaglia: i soldati dovevano seguire con lo sguardo i loro stendardi. Ogni manipolo (raggruppamento di due centurie) possedeva un signum affidato a un signifer che indicava il cammino da seguire nella marcia e in battaglia. La cavalleria, invece, seguiva un portatore di vexillum chiamato vexillarius.

In secondo luogo, i soldati dovevano obbedire ai segnali sonori, alla voce dei loro superiori, ma anche agli squilli di tromba e di corno. Questa segnava la sveglia e il cambio della guardia; ma serviva soprattutto per la tattica. In battaglia venivano utilizzati tre strumenti: la tuba (tromba diritta) era destinata a tutti gli uomini, ai quali dava il segnale dell'assalto o quello della ritirata, come pure della partenza dal campo. Il cornu (corno), che è una tuba ricurva e rinforzata da una barra metallica; in battaglia, esso suonava per i portatori di signa. La bucina, una tuba più corta e con un disegno leggermente arcuato. Normalmente, trombe e corni suonavano insieme per avvertire che si doveva avanzare verso il nemico, ma non solo, ogni istante della battaglia era segnalato e cadenzato da particolari squilli, che organizzavano così gli spostamenti e i movimenti sul campo delle truppe e l'avvicendarsi dei manipoli, lo spostamento della cavalleria, l'attacco dei veliti o dell'artiglieria ecc.

 Le costruzioni^

Non bisogna però tralasciare uno dei numerosi fattori di successo dell'esercito romano, ovvero la sua abilità nel costruire: strade, ponti, campi e accampamenti.

Un esercito che si spostava in paese nemico non sempre trovava pronti i supporti e le comodità cui l'aveva abituato il mondo romano, e quindi doveva intervenire sul territorio attraversato per garantirsi il massimo di sicurezza.

Questi lavori non venivano effettuati in un modo qualsiasi, né erano affidati a persone qualsiasi. Era normalmente la fanteria, in particolare quella delle legioni, che forniva la manodopera, mentre la cavalleria, anche quella degli ausiliari, assicurava la sorveglianza e la protezione del cantiere.

Per avanzare rapidamente in paese nemico, i generali si preoccupavano di poter disporre di vie facili da percorrere. I fanti provvedevano ad abbattere gli alberi quando si attraversava una foresta, a eliminare i massi ingombranti e, in pianura, a prosciugare all'occorrenza persino paludi di piccole dimensioni. Spianavano il terreno, o quantomeno disponevano dei segnali che indicavano la direzione da seguire. Successivamente, non appena consolidata una posizione, era sempre l'esercito che provvedeva a rendere definitiva la percorribilità sulle strade, cosa di primaria importanza per garantire facili e veloci rifornimenti e comunicazioni.

L'attraversamento dei corsi d'acqua rappresentava un'altra difficoltà, davanti alla quale c'era da scegliere fra tre soluzioni diverse. Si poteva fare appello alla marina per attraversare il fiume in barca. Oppure, sempre con l'aiuto della marina, si costruiva un ponte di imbarcazioni disponendo delle navi affiancate, disposte bordo a bordo che venivano solidamente legate l'una all'altra, e poi veniva sistemata su di esse una passerella. Infine, si poteva costruire un vero e proprio ponte, in legno o in pietra (scelta spesso privilegiata perché offriva il vantaggio di solidità e di una via di fuga in caso di repentina ritirata, in questo caso il ponte veniva distrutto appena dopo il passaggio delle truppe).

Ma la qualità organizzativa andava oltre: tutte le sere, la legione doveva essere riparata all'interno di una conta difensiva. Questi campi provvisori nel corso della marcia, temporanei (castra aestiua), costruiti e distrutti quotidianamente, differivano dai campi permanenti (castra biberna, statiua) in particolare per dimensioni e materiali utilizzati.
Prima di costruire un campo, bisognava scegliere accuratamente il sito. Un suolo in pendenza era preferibile: esso favoriva l'evacuazione delle acque, l'aerazione, e rendeva più agevole l'uscita di fronte a eventuali assalitori.
Poi, bisognava fare attenzione che vi fosse acqua in quantità sufficiente per sostenere un assedio. Infine, i responsabili dovevano assicurarsi che la posizione fosse difendibile: per esempio, che la posizione non fosse dominata da un'altura da dove il nemico poteva facilmente lanciare giavellotti, frecce e pietre sulla guarnigione.
I soldati cominciavano con lo spianare il terreno, poi costruivano le difese. Una volta che il terreno era stato spianato, prima di dare il via alla costruzione del fossato e del muro, un agrimensore, a partire dal centro del campo, usando uno strumento chiamato groma, disegnava la dislocazione delle vie e del muro (sembra si chiamasse groma anche il punto centrale del campo).
Così tracciati i perimetri e le vie principali per ottenere la fortificazione più semplice, si scavava prima di tutto un fossato (fossa), con sezione a V. La terra che ne era tolta veniva depositata subito a ridosso verso l'interno, e poi veniva spianata, in maniera da creare un terrapieno, una specie di camminamento di ronda sopraelevato (agger), al di sopra del quale veniva costruita una palizzata di legno (vallum) o, più raramente, un muretto di terriccio, o di pietra, che poteva essere dotato di torri o bastioni sostenenti pezzi di artiglieria come scorpioni, catapulte e baliste.

Affianco alla palizzata, internamente, veniva lasciato sempre uno spazio vuoto (in tervallum) destinato a raccogliere frecce e giavellotti che eventualmente superavano il muro di cinta; questa zona aveva anche lo scopo di accelerare gli spostamenti all'interno della fortezza. Accuratamente rinforzati erano poi i quattro accessi del campo, poiché, evidentemente, essi costituivano altrettanti punti deboli del muro. Venivano adottate due soluzioni: un piccolo ostacolo in parallelo col grande recinto e collocato giusto sull'asse del passaggio (titulum) in maniera da infrangere lo slancio di un assalto; oppure il muro veniva prolungato verso l'interno e verso l'esterno con due quarti di cerchio ("piccola chiave" (clauicula)). In realtà, data la relativa fragilità di questo tipo di costruzione, che veniva messa in piedi in poche ore, quel che si temeva soprattutto era l'effetto d'urto prodotto da un assalto. L'obiettivo che ci si prefiggeva quindi era di infrangere lo slancio dell'eventuale assalitore. Davanti alla fortezza, inoltre, i legionari scavavano delle buche al fondo delle quali collocavano tronchi d'albero completi dei loro rami: questi ostacoli portavano il nome di "piccoli cervi" (ceruoli).

Le vie delimitavano spazi rettangolari all'interno dei quali si installavano delle tende; la più importante, quella del comandante generale, presentava gli stessi caratteri sacri di un tempio. Molto vicino si trovava l'auguratorium, dove venivano presi gli auspici. In prossimità era installata una tribuna, da dove il comandante in capo amministrava la giustizia e pronunciava discorsi, quindi gli alloggi per gli ufficiali e i soldati. Poi bisognava destinare un certo spazio alle installazioni di uso collettivo: un laboratorio assicurava la riparazione delle armi danneggiate; un ospedale dove venivano curati gli uomini, ed esisteva anche un'infermeria per gli animali.

E, naturalmente, non poteva mancare un luogo pubblico, il forum. Quando si descrive questo campo, con i diversi lavori che ne assicurano la difesa, con l'organizzazione estremamente complessa delle sue parti interne, e quando si pensa che tutta questa struttura era costruita ogni sera su un sito nuovo e distrutta ogni mattina, non si può fare a meno di trarne una conclusione: ogni ufficiale doveva sapere perfettamente quali erano le sue competenze, e ogni soldato doveva conoscere molto bene i propri compiti in modo da non perdere tempo. Queste esigenze implicavano un reclutamento di qualità e un allenamento molto spinto.

Segue un testo (tratto dagli Annali) dello storico latino Tacito che mostra come all'epoca di Augusto, esistesse una marina, un esercito delle frontiere composto da legioni e unità ausiliarie, e infine da truppe di stanza a Roma.

Passò, allora, Tiberio rapidamente in rassegna il numero delle legioni e le province che avrebbero dovuto difendere; cosa che ritengo anch'io di dover fare qui, parlando dei corpi armati... Due flotte, l'una presso il capo Miseno, l'altra vicino a Ravenna, presidiavano l'Italia nell'uno e nell'altro mare; accanto poi alle spiagge della Gallia, stavano le navi rostrate che, catturate nella battaglia d'Azio, Augusto con un forte equipaggio aveva mandato al Foro Giulio. Il nerbo più forte dell'esercito era, per altro, presso il Reno: Otto legioni che erano di presidio contro i Germani e contro i Galli; la Spagna, invece, da poco soggiogata, era occupata da tre legioni. Il re Giuba aveva accettato come dono dal popolo romano il dominio sui Mauri; mentre le altre regioni dell'Africa e d'Egitto avevano il presidio di due legioni, e da quattro legioni era sorvegliato per tutta la sua vastità il territorio dai confini della Siria fino al fiume Eufrate, col quale confinano gli Iberi, gli Albani ed altri regni, che la nostra potenza protegge contro signorie straniere... Due legioni in Pannonia e due in Mesia tenevano le sponde del Danubio, mentre altrettante ve n'erano in Dalmazia, che, per la natura del luogo collocate a tergo di quelle, sarebbero state rapidamente richiamate da luoghi non lontani, qualora in Italia fosse stato necessario un intervento improvviso, per quanto accanto a Roma vi fossero di stanza milizie speciali, tre coorti urbane, nove pretorie, quasi tutte arruolate nell'Etruria e nell'Umbria, o nell'antico Lazio o nelle colonie fondate anticamente dai Romani. Inoltre, nei luoghi più opportuni delle province vi erano le triremi alleate, la cavalleria e le coorti ausiliarie, forze di importanza non minore delle altre.

 Il declino^

Il tipo di legione augustea durò per circa 150 anni, con l'unica variante di rendere miliaria, cioè di 1000 uomini circa, il doppio dell'organico usuale, la prima corte di ciascuna unità. Le riforme militari di Adriano (117-138 d.C.) e Settimio Severo (193-211 d.C.), pur nella loro visione globale del problema, non intaccarono l'essenza delle legioni, ma furono di importanza fondamentale in altri campi (paghe, tattica, reclutamento...).

Dal periodo di Adriano in poi l'Impero tendeva ormai solo a difendersi sia dalle forze esterne, costituite dalle popolazioni barbare che premevano ai confini, che da quelle interne: il senato e le antiche magistrature ormai non erano che vuota parola, da tempo senza potere, ed era per pura continuazione della tradizione che alcuni imperatori recavano loro ossequio formale. Il cristianesimo, il depauperamento delle campagne, le crisi finanziarie, le epidemie ed infine l'esercito, erano gli elementi più evidenti che contribuirono alla destabilizzazione del potere centrale. L'apparato militare era ad un tempo elemento di crisi con le continue sollevazioni e gli ammutinamenti, ma era anche l'unico mezzo con cui si salvava l'unità territoriale dell'Impero.

 Le fonti^

  • Antonio Londrillo Viaggio nella storia 1, Milano, Mursia, 1992
  • A. Saitta Civiltà del passato, Firenze, Sansoni, 1972
  • AA. VV. La Civiltà greca romana-medievale, Milano, edizione CDE spa, 1968/li>
  • Tito Maccio Plauto Miles gloriosus, Milano, Rizzoli, 1991
  • Antonio La Penna Primordia et incrementa latinitatis, Torino, Loescher, 1966
  • L. Castiglioni, S. Mariotti IL, Torino, Loescher, 1990

 Changelog^

  • (26/11/1992) Prima stesura, titolo originale della ricerca scolastica L'organizzazione militare di Roma
  • (Estate 2001) Seconda stesura, revisione, ampliamento ed impaginazione per il web, titolo La Legione Romana
  • (Autunno 2002) Ampliamento per il web
  • (Estate 2005) Revisione ed impaginazione per il web
  • (Estate 2012) Impaginazione per il nuovo CMS
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